Udo, vecchio mio, non ho mai letto il testo citato di Robert Wright, però vista la tua segnalazione mi sono andato a leggere il commento di Manlio su IBS, data: 24 novembre 2018
Ho deciso. Ricomincerò la lettura di "Perché il buddhismo fa bene. La scienza e la filosofia alla base di meditazione e illuminazione" di Robert Wright, ma stavolta per leggerlo tutto. E' un regalo di Manlio, che lo ha anche commentato su IBS. Non lo leggerò, come si dice, tutto d'un fiato. Penso che non sia positivo, in generale, leggere di corsa un testo; a maggior ragione un libro come questo, in cui il concetto di meditazione è al centro della trattazione e che quindi richiede, per estensione, che le pagine siano ben "meditate". Non so se sia il caso di commentare un testo come questo durante il cammino della lettura, o se è meglio aspettare di averlo letto per intero. Vedremo. Se qualcuno ha qualcosa da dire, io resto comunque in ascolto.
Nei commenti trovo spesso riferimenti a testi e a pagine web legati agli argomenti di questo sito. Non sarebbe interessante inserire una pagina dedicata ad una bibliografia ragionata, i cui i testi non siano solo elencati ma anche commentati dal lettore? Perdonatemi, ma io sono afflitto dal tarlo della sintesi (vedi commento #32 o 2^5 ): devo avere un filo conduttore, altrimenti mi smarrisco. La stessa richiesta vale per i siti: si potrebbe ottenere così una "sitografia", anche questa ragionata ovviamente. Ho visitato il sito di Avalokita e sono rimasto sorpreso: chi poteva pensare che alle pendici del Gran Sasso potesse sorgere un centro ispirato a Thich Nhat Hanh? Grazie a Manlio per avermelo fatto conoscere! Ecco comunque un bell'esempio di voce per una futura sitografia.
.. mi scuso per la numerazione dei commenti, pensavo che con 2 potevo inserire tutto, invece, in "corso d'opera", mi sono reso conto che dovevo dividerli in almeno TRE
3/3 Mi ricordo che lessi nella stessa collana Ubaldini Editore la PRESENZA CONSAPEVOLE di Rupert Spira una mattonata solenne che ripeteva per oltre duecento pagine lo stesso ed unico concetto sulla necessità di esercitare costantemente la presenza mentale e poi, a seguire, lessi il miracolo della presenza mentale ed ebbi una sorta di rifiuto e lasciai intonso l'altro suo libro TRASFORMARSI E GUARIRE
2/3 La mindfullness mi sembrava una "terza via" , perché in qualche misura "demistificata" e sorretta da un approccio di base scientifico e quindi da "lo zen e il tiro con l'arco" (Eugen Herrigel) ed ancora lo zen e l'arte di manutenzione della motocicletta, a "il gabbiano Jonathan Livingston" e tutti gli altri testi di Richard Bach, che avvicinavano lo ZEN dal punto di vista estetico, attraverso i neuroscienziati (Daniel J.Siegel) la MINDFULLNESS sembrava avere una nuova base relazionale, e gli stessi monaci zen, primo tra tutti Tich Nath Hann, potevano dare un loro contributo interessante in questo senso
1/3 Caro Manlio, era un periodo che mi ero "invaghito" della MINDFULLNESS e praticamente divoravo libri su libri senza sosta perché il nesso con il buddhismo ZEN di cui avevo letto molti anni prima a partire dai "classici" di D.T.Suzuki era evidente e consequenziale..
Lo stacco tra il buddhismo Zen (prevalentemente "made in Japan") ed il buddhismo della tradizione indiana in particolare Mahyana era netto perché per il bodhisattva, essere illuminato, la "rinuncia" volontaria al nirvana è vissuta come servizio alla umanità come scelta EMPATICA, a differenza di coloro che praticano "egoisticamente" solo per raggiungere il nirvana per loro stessi
Il misticismo in qualche modo della tradizione classica indiana, nel buddhismo zen sembra cedere il passo alla pura ragione estetica/artistica
Commenti
GRANDE!
Buona serata a tutti
Vittorio
Non lo leggerò, come si dice, tutto d'un fiato. Penso che non sia positivo, in generale, leggere di corsa un testo; a maggior ragione un libro come questo, in cui il concetto di meditazione è al centro della trattazione e che quindi richiede, per estensione, che le pagine siano ben "meditate".
Non so se sia il caso di commentare un testo come questo durante il cammino della lettura, o se è meglio aspettare di averlo letto per intero. Vedremo.
Se qualcuno ha qualcosa da dire, io resto comunque in ascolto.
Non sarebbe interessante inserire una pagina dedicata ad una bibliografia ragionata, i cui i testi non siano solo elencati ma anche commentati dal lettore?
Perdonatemi, ma io sono afflitto dal tarlo della sintesi (vedi commento #32 o 2^5 ): devo avere un filo conduttore, altrimenti mi smarrisco.
La stessa richiesta vale per i siti: si potrebbe ottenere così una "sitografia", anche questa ragionata ovviamente.
Ho visitato il sito di Avalokita e sono rimasto sorpreso: chi poteva pensare che alle pendici del Gran Sasso potesse sorgere un centro ispirato a Thich Nhat Hanh? Grazie a Manlio per avermelo fatto conoscere! Ecco comunque un bell'esempio di voce per una futura sitografia.
(quattro con questo )
Mi ricordo che lessi nella stessa collana Ubaldini Editore la PRESENZA CONSAPEVOLE di Rupert Spira una mattonata solenne che ripeteva per oltre duecento pagine lo stesso ed unico concetto sulla necessità di esercitare costantemente la presenza mentale e poi, a seguire, lessi il miracolo della presenza mentale ed ebbi una sorta di rifiuto e lasciai intonso l'altro suo libro TRASFORMARSI E GUARIRE
La mindfullness mi sembrava una "terza via" , perché in qualche misura "demistificata" e sorretta da un approccio di base scientifico e quindi da "lo zen e il tiro con l'arco" (Eugen Herrigel) ed ancora lo zen e l'arte di manutenzione della motocicletta, a "il gabbiano Jonathan Livingston" e tutti gli altri testi di Richard Bach, che avvicinavano lo ZEN dal punto di vista estetico, attraverso i neuroscienziati (Daniel J.Siegel) la MINDFULLNESS sembrava avere una nuova base relazionale, e gli stessi monaci zen, primo tra tutti Tich Nath Hann, potevano dare un loro contributo interessante in questo senso
Caro Manlio, era un periodo che mi ero "invaghito" della MINDFULLNESS e praticamente divoravo libri su libri senza sosta perché il nesso con il buddhismo ZEN di cui avevo letto molti anni prima a partire dai "classici" di D.T.Suzuki era evidente e consequenziale..
Lo stacco tra il buddhismo Zen (prevalentemente "made in Japan") ed il buddhismo della tradizione indiana in particolare Mahyana era netto perché per il bodhisattva, essere illuminato, la "rinuncia" volontaria al nirvana è vissuta come servizio alla umanità come scelta EMPATICA, a differenza di coloro che praticano "egoisticamente" solo per raggiungere il nirvana per loro stessi
Il misticismo in qualche modo della tradizione classica indiana, nel buddhismo zen sembra cedere il passo alla pura ragione estetica/artistica